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lunedì 1 dicembre 2025

“Tanto domani è di nuovo fuori”: perché lo sentiamo dire sempre?

 

Ogni volta che qualcuno viene arrestato la reazione è quasi automatica: “Tanto domani è già fuori.”

Una frase che, a forza di ripetersi, è diventata il simbolo della frustrazione di molti cittadini. Le forze dell’ordine fanno il loro lavoro, spesso in condizioni difficili, e non è certo colpa loro se chi sbaglia sembra cavarsela troppo facilmente.

In Italia, il carcere non può essere la risposta automatica a ogni reato: la legge prevede che la detenzione preventiva si usi solo quando strettamente necessario, ad esempio se c’è rischio di fuga, di inquinamento delle prove o di reiterazione del reato. In assenza di questi elementi, la Costituzione impone misure meno pesanti.
Non è “buonismo”: è un principio di garanzia che esiste in tutte le democrazie.

Eppure, il disagio resta. Perché?
Perché il nostro sistema presenta due problemi reali. Da un lato le carceri sono sovraffollate, e quindi non si può pensare di usarle per ogni situazione. Dall’altro, processi lenti e pene eseguite in modo incerto alimentano quella sensazione di impunità che fa infuriare chi vive e lavora onestamente.

La domanda allora è: cosa significa davvero “pagare per il reato”?
Punire di più non sempre significa punire meglio. Una pena efficace deve proteggere la società, essere proporzionata, e soprattutto evitare che chi ha sbagliato torni a farlo. Il carcere serve per i reati gravi o per chi continua a delinquere, ma in molti casi non è la soluzione migliore: spesso produce più recidiva di misure alternative controllate e ben gestite.

La vera sfida è costruire un sistema che funzioni davvero. Processi più rapidi, pene certe, regole chiare, misure alternative serie e verificabili, e un carcere che non sia un luogo di degrado ma di sicurezza e rieducazione.
Solo così chi commette un reato potrà rispondere pienamente delle proprie azioni, e i cittadini potranno tornare a sentirsi protetti.

Perché il punto non è essere più duri o più morbidi.
Il punto è essere più giusti.



sabato 11 ottobre 2025

Quanto è brava Beatrice Arnera, non a caso la più votata dai famosi “defunti” a Roast in peace



Non è un caso che Beatrice Arnera sia stata la più votata, insieme a Eleazaro Rossi, dai personaggi famosi “defunti” di Roast in peace: ironia tagliente, spiccata capacità di improvvisazione e una gran bella voce. Tiene il palco come una moderna Franca Valeri e, come lei, fa ridere anche grazie al linguaggio del corpo e alla mimica facciale. Non poteva che essere la più temuta e, per questo, ultima in classifica. Il risultato migliore al quale poteva ambire.

A cura di Eleonora D'Amore

Beatrice Arnera, classe 1995, appena trentenne, è salita sul palco di Roast in Peace, il nuovo comedy show di Prime Video, e non si è dovuta sforzare molto per risultare la più pericolosa di tutti. Ironia tagliente, spiccata capacità di improvvisazione e una gran bella voce, che l'ha resa una sorpresa anche nel canto. Tiene il palco come una moderna Franca Valeri e, come lei, fa ridere anche grazie al linguaggio del corpo e alla mimica facciale. Non poteva che essere la più temuta e, per questo, ultima in classifica. Il risultato migliore al quale poteva ambire. 

Figlia della cantante lirica Silvia Gavarotti, da qui la passione per il genere e il canto in generale, da un po' di tempo torna agli onori delle cronache televisive e cinematografiche. Si erano accorti del suo talento i Jackal, che l'avevano scelta nel cast del loro primo film Addio fottuti musi verdi, e poi registi del calibro di Fabio De Luigi, Fausto Brizzi e Guido Chiesa. Sul piccolo schermo, tante le fiction, sia Rai che Mediaset, a partire da Una donna per amico al Paradiso delle Signore e Montalbano. 

Negli ultimi anni, centrale nel cast della serie Buongiorno Mamma! su Canale 5, liberamente ispirata alla storia della famiglia di Angela e Nazzareno Moroni. Ed è su questo set che è nato il pettegolezzo sulla vicinanza a Raoul Bova e le foto di un pranzo insieme che hanno spostato l'attenzione sulla sfera privata, soprattutto a seguito del post in cui annunciava una crisi nel rapporto con il compagno Angelo Pisani, padre della sua primogenita Matilde, nata nel 2024. 

Per fortuna Roast in peace arriva proprio nel momento in cui era importante ricordare quanto fosse brava come attrice e comica, tornando a darle il centro di un palco che dimostra sempre di meritare. Con i suoi elogi funebri si è distinta per la capacità di tenere testa anche ai più permalosi, consapevole che l'ironia, e l'autoironia, sono l'arma più potente della quale si possa disporre, in particolare quando si occupano sgabelli così scomodi. Figuriamoci quelli dell'aldilà. 


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domenica 25 agosto 2024

Vietato cantare, recitare, leggere in pubblico. Una nuova legge spegne la voce delle donne afghane




La nuova normativa vieta l’uso della voce femminile in pubblico, considerata un elemento troppo intimo, quindi da mantenere privata. Nonostante ciò, le donne resistono. In silenzio

di Laura Pace

Le donne afghane sono state ridotte al silenzio, di nuovo e per legge. Emanata dai talebani, e ufficialmente intitolata “sul vizio e sulle virtù”, la nuova normativa vieta loro di cantare, recitare o persino leggere ad alta voce in pubblico. Una misura che segna un ulteriore passo verso la repressione totale dei diritti e delle libertà femminili. A introdurre la legge, il Ministero per la Prevenzione dei Vizi e la Promozione delle Virtù, creato nel 2021 in Afghanistan. 35 articoli che comprimono ulteriormente e drasticamente le possibilità di muoversi ed esprimersi delle donne, imponendo loro di coprire il corpo e il viso e vietando ogni espressione pubblica della loro voce.

La nuova normativa non solo vieta l’uso della voce femminile in pubblico, considerata un aspetto troppo intimo e quindi da mantenere privata. Impone anche che le donne non possano viaggiare senza essere accompagnate da un uomo della famiglia né incontrare uomini con cui non sono imparentate. E le punizioni possono includere ammonimenti e multe ma anche l’arresto.
La libertà femminile soppressa sotto il regime dei talebani

La situazione continua a peggiorare, anno dopo anno, mese dopo mese. I talebani, riconquistato il potere nell’agosto 2021, avevano promesso un governo più moderato. Da allora, però, hanno chiuso le scuole secondarie femminili, vietato alle donne l’accesso all’università, ai saloni di bellezza, e ora hanno messo a tacere anche le loro voci. Questa legge rappresenta una regressione che richiama i giorni più bui del regime talebano degli anni ’90, quando le donne erano relegate in casa e prive di diritti fondamentali.

Oggi, con l’applicazione rigorosa di questa nuova legge, le donne afghane non possono più partecipare liberamente alla vita pubblica o esprimersi in qualsiasi forma. Il loro silenzio forzato è diventato il simbolo dell’oppressione che devono affrontare ogni giorno in un Afghanistan sempre più chiuso e autoritario.