Solo da noi si poteva pensare di aprire prima i luoghi di lavoro, e poi, solo dopo, le scuole e gli asili. È come guardare la realtà con la testa in giù.
Solo in un paese come il nostro si poteva pensare di aprire prima i luoghi di lavoro,
e poi, solo dopo, le scuole e gli asili. È come guardare la realtà con
la testa in giù. Un po’ come Cosimo nel Barone Rampante, quando perde
l’equilibrio e rimane appeso ai rami col sangue che gli va alla testa.
Una prospettiva capovolta che però da noi è la pura normalità. Dagli anni Cinquanta in poi si dà per scontato che qualcuno si occupi dei bambini: nonni, madri, zie e prozie, parenti di ultimissimo grado, purché vivi, riciclati alla bisogna. Il paese si regge da decenni su un gigantesco paradosso; il nostro è un modello di welfare “familistico”, ma non nel senso che aiuta le famiglie, ma nel senso che scarica sulle famiglie tutti i compiti di cura e accudimento che lo stato non riesce a svolgere.
Siamo nati con il mito del lavoratore maschio adulto che guadagna il pane per sé e per tutta la famiglia (il breadwinner), quello che ha un lavoro a tempo indeterminato e per tutta la vita e magari una pensione sicura. Il massimo della modernità lo abbiamo sfiorato spostandoci sull’approccio del “posto di lavoro e mezzo”, dove il mezzo lavoro è naturalmente quello, part time, precario o iperflessibile delle donne con prole.
Ora la pandemia ci ha brutalmente fatto ripiombare nella realtà. I nonni sono fuori uso, e alle madri nel 2020 capita anche di dover lavorare. Se le aziende riaccendono i motori, ma le scuole e gli asili rimangono con la saracinesca giù fino a settembre (forse), non si capisce come si possano combinare le due cose.
Servono, come minimo, procedure chiare e scadenze precise che possano permettere alle famiglie di organizzarsi. Pensare di prendere tempo con la moltiplicazione di comitati, task force, gruppi di esperti e cabine di regia non basta.
Negli altri paesi la situazione è diversa. A partire dalla Germania in cui i servizi educativi per i figli dei lavoratori dei servizi pubblici essenziali (ospedali, trasporti, polizia e supermercati) guarda caso sono rimasti sempre aperti. Che vuol dire pensare a garantire la conciliazione famiglia-lavoro sempre e non a casaccio.
E già da questa settimana in diversi Länder sono state riaperte le classi dell’ultimo anno di scuola superiore per prendere il diploma. In Olanda, si è ragionato fin da subito su una chiusura di sei settimane. Adesso si sa già che le scuole primarie (4-12 anni) riapriranno a fine aprile, che dall’11 maggio tutti i bambini avranno almeno mezza giornata di scuola e che gli istituti secondari riapriranno il 1° giugno.
In Francia, le scuole accoglieranno gli studenti dall’11 maggio. Prima gli alunni degli ultimi anni dei diversi cicli scolastici, poi dal 25 maggio tutte le classi. E gli asili dall’inizio di giugno. In Spagna almeno l’aria è stata liberalizzata; i bambini possono uscire anche in tre, con un genitore, per un’ora intera con bici o monopattino dalle 9 del mattino alle 9 di sera. In Belgio da sempre si può uscire sempre in due, con un figlio, o un amico per lunghe passeggiate.
Non come da noi dove si deve andare uno per volta, che potrebbe voler dire dire bambini in giro da soli anche a 2 anni, oppure bambini rintuzzati in minuscoli terrazzini costretti a cantare alle ore sei o in quadratini di asfalto chiamati cortili. In Danimarca le scuole riaprono oggi e in Svezia e Islanda non hanno mai chiuso.
Non pretendiamo troppo, sia chiaro. Non è nemmeno colpa di questo governo; è difficile recuperare rispetto a paesi come la Francia che dagli anni Sessanta forniscono un generoso assegno universale per ogni figlio fino ai 18 anni. Anzi qualche passo in avanti con questo governo è stato pure fatto. Si parla di 35 milioni a favore di misure per la famiglia, tra congedi parentali allungati a 15 giorni, bonus babysitter e bonus figli esteso fino ai 14 anni e misure di emergenza per sostenere il reddito dei genitori. Ma sono davvero gocce in un oceano di bisogni.
Come spiegano le decine di appelli di associazioni e insegnanti che hanno voglia di riaprire i luoghi dell’educazione. Siamo diventati fortissimi nella didattica a distanza (almeno rispetto a 3 mesi fa e seppure con tante disomogeneità), forse lo possiamo diventare anche nell’outdoor education, nella sperimentazione di laboratori a piccoli gruppi, nell’assistenza educativa domiciliare per i minori con disabilità. Vale la pena provare, per rimettere ogni cosa al suo posto. Senza capovolgimenti.
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Una prospettiva capovolta che però da noi è la pura normalità. Dagli anni Cinquanta in poi si dà per scontato che qualcuno si occupi dei bambini: nonni, madri, zie e prozie, parenti di ultimissimo grado, purché vivi, riciclati alla bisogna. Il paese si regge da decenni su un gigantesco paradosso; il nostro è un modello di welfare “familistico”, ma non nel senso che aiuta le famiglie, ma nel senso che scarica sulle famiglie tutti i compiti di cura e accudimento che lo stato non riesce a svolgere.
Siamo nati con il mito del lavoratore maschio adulto che guadagna il pane per sé e per tutta la famiglia (il breadwinner), quello che ha un lavoro a tempo indeterminato e per tutta la vita e magari una pensione sicura. Il massimo della modernità lo abbiamo sfiorato spostandoci sull’approccio del “posto di lavoro e mezzo”, dove il mezzo lavoro è naturalmente quello, part time, precario o iperflessibile delle donne con prole.
Ora la pandemia ci ha brutalmente fatto ripiombare nella realtà. I nonni sono fuori uso, e alle madri nel 2020 capita anche di dover lavorare. Se le aziende riaccendono i motori, ma le scuole e gli asili rimangono con la saracinesca giù fino a settembre (forse), non si capisce come si possano combinare le due cose.
Servono, come minimo, procedure chiare e scadenze precise che possano permettere alle famiglie di organizzarsi. Pensare di prendere tempo con la moltiplicazione di comitati, task force, gruppi di esperti e cabine di regia non basta.
Negli altri paesi la situazione è diversa. A partire dalla Germania in cui i servizi educativi per i figli dei lavoratori dei servizi pubblici essenziali (ospedali, trasporti, polizia e supermercati) guarda caso sono rimasti sempre aperti. Che vuol dire pensare a garantire la conciliazione famiglia-lavoro sempre e non a casaccio.
E già da questa settimana in diversi Länder sono state riaperte le classi dell’ultimo anno di scuola superiore per prendere il diploma. In Olanda, si è ragionato fin da subito su una chiusura di sei settimane. Adesso si sa già che le scuole primarie (4-12 anni) riapriranno a fine aprile, che dall’11 maggio tutti i bambini avranno almeno mezza giornata di scuola e che gli istituti secondari riapriranno il 1° giugno.
In Francia, le scuole accoglieranno gli studenti dall’11 maggio. Prima gli alunni degli ultimi anni dei diversi cicli scolastici, poi dal 25 maggio tutte le classi. E gli asili dall’inizio di giugno. In Spagna almeno l’aria è stata liberalizzata; i bambini possono uscire anche in tre, con un genitore, per un’ora intera con bici o monopattino dalle 9 del mattino alle 9 di sera. In Belgio da sempre si può uscire sempre in due, con un figlio, o un amico per lunghe passeggiate.
Non come da noi dove si deve andare uno per volta, che potrebbe voler dire dire bambini in giro da soli anche a 2 anni, oppure bambini rintuzzati in minuscoli terrazzini costretti a cantare alle ore sei o in quadratini di asfalto chiamati cortili. In Danimarca le scuole riaprono oggi e in Svezia e Islanda non hanno mai chiuso.
Non pretendiamo troppo, sia chiaro. Non è nemmeno colpa di questo governo; è difficile recuperare rispetto a paesi come la Francia che dagli anni Sessanta forniscono un generoso assegno universale per ogni figlio fino ai 18 anni. Anzi qualche passo in avanti con questo governo è stato pure fatto. Si parla di 35 milioni a favore di misure per la famiglia, tra congedi parentali allungati a 15 giorni, bonus babysitter e bonus figli esteso fino ai 14 anni e misure di emergenza per sostenere il reddito dei genitori. Ma sono davvero gocce in un oceano di bisogni.
Come spiegano le decine di appelli di associazioni e insegnanti che hanno voglia di riaprire i luoghi dell’educazione. Siamo diventati fortissimi nella didattica a distanza (almeno rispetto a 3 mesi fa e seppure con tante disomogeneità), forse lo possiamo diventare anche nell’outdoor education, nella sperimentazione di laboratori a piccoli gruppi, nell’assistenza educativa domiciliare per i minori con disabilità. Vale la pena provare, per rimettere ogni cosa al suo posto. Senza capovolgimenti.
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