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domenica 21 agosto 2016

Coniugi “progressisti” ospitano un profugo in casa: lui tenta di violentare moglie



LUGANO – Li avevano accolti in casa cercando di farli sentire a loro agio, ma in un pomeriggio la solidarietà è stata spazzata via dalla rabbia. Si sentono così i due coniugi del Luganese che nelle scorse settimane hanno segnalato al Ministero pubblico quello che a loro dire sarebbe stato un tentativo di abuso a sfondo sessuale nei confronti della donna da parte di un trentatreenne musulmano di origini egiziane: un richiedente l’asilo che la coppia, la scorsa primavera, aveva ospitato assieme alla moglie irachena curda cristiana, a un bambino di cinque anni e a una di un anno e mezzo.

Sentito dagli inquirenti, il presunto aggressore ha respinto però l’accusa dicendo che si trattava solo di un abbraccio affettuoso. Nel frattempo sarebbe trasferito in Germania. Il Ministero pubblico, da noi contattato, ci conferma (riferendosi al presunto reato più come una molestia che un tentativo di abuso sessuale) che una segnalazione in questo senso è effettivamente stata inoltrata e che l’uomo ha nel frattempo lasciato la Svizzera.

Essendo sensibili al dramma dei migranti, marito e moglie avevano deciso di raccogliere l’appello delle autorità politiche e religiose mettendo a disposizione un appartamento, piano terra, di centoventi metri quadrati, non distante da casa loro. Avevano fatto tutto il necessario per trasformare quello spazio in un appartamento adatto a una famiglia, ad esempio creando i muri divisori per le camerette dei piccoli. «All’inizio le cose andavano bene – racconta il marito – Venivano aiutati anche da altre famiglie del paese: da chi li accompagnava a fare la spesa a chi portava loro delle lenzuola, mentre la Caritas aveva portato i mobili per la casa. Con i servizi preposti ci siamo occupati di sistemare il bambino a scuola almeno un giorno a settimana. Non è stato facile, aveva un carattere problematico e si è dovuto trovare una persona qualificata per seguirlo, a tempo pieno, alla scuola dell’infanzia». Tutto sembrava andare nella giusta direzione e di quei migranti parlavano bene altri ticinesi che li avevano conosciuti quando erano alloggiati nel Sopraceneri, ma qualcosa, nei pensieri della famiglia ospitante, non tornava. Come venivano trattati i figli, il comportamento del marito fuori di casa, eccetera. Resta pure il dubbio se si trattasse di una vera famiglia oppure se la stessa si sia «formata» nel viaggio per raggiungere la Svizzera.


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