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martedì 15 aprile 2014

CONFERMATO! RENZI FREGA 800 EURO A FAMIGLIA A CAUSA DEI MANCATI SGRAVI FISCALI. ALTRO CHE 80 EURO IN BUSTA!

Def, Istat: “Alle famiglie più povere 796 euro dagli sgravi fiscali”

Ma il presidente dell’istituto, in audizione davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato, rivede al ribasso l’effetto sul pil stimato dal governo: 0,2% invece che 0,3%. E il vicedirettore generale di Bankitalia avverte: “Nel 2015 spending review insufficiente”

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Lo sconto Irpef previsto dal Documento di economia e finanza, i cui dettagli saranno definiti in un decreto legge atteso per venerdì 18, lascerà nelle tasche delle famiglie italiane più povere 714 euro in più all’anno. Lo ha detto il presidente dell’Istat, Antonio Golini, in audizione davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato, che stanno ascoltando le valutazioni sul Def di parti sociali ed esperti. Secondo l’istituto di statistica, gli sgravi varranno il 3,4% del reddito complessivo per il 20% della popolazione che guadagna meno. L’effetto positivo sarà invece di 796 euro per le famiglie del secondo “quinto” (lo scaglione subito sopra quello dei redditi più bassi), di 768 per il terzo e di 696 per il quarto. Lo sconto scenderà poi progressivamente al salire delle entrate del nucleo famigliare fino a ridursi allo 0,7%, pari a 451 euro, per i più ricchi. Si tratta comunque di valori medi: oltre i 55mila euro di reddito non ci sarà alcun beneficio. Le entrate fiscali, stando ai calcoli dell’Istat, si ridurranno di conseguenza di circa 11,3 miliardi.
L’istituto rivede però al ribasso, rispetto alle previsioni del governo, l’impatto dell’intervento sulprodotto interno lordo: il Def auspicava che la maggiore disponibilità economica degli italiani, a partire dai meno abbienti, lo avrebbe fatto crescere dello 0,3%. Golini, invece, ha comunicato che il rialzo sarà al massimo dello 0,2% e potrebbe limitarsi allo 0,1 al netto degli interventi di copertura delle maggiori spese e minori entrate. E un’altra tegola arriva dal vicedirettore generale dellaBanca d’Italia, Luigi Federico Signorini, anche lui audito oggi in Parlamento. “Nel 2015″, ha detto Signorini, “i risparmi di spesa indicati come valore massimo ottenibile dalla spending review (18 miliardi, ndr) non sarebbero sufficienti a conseguire gli obiettivi programmatici”. In pratica, secondo Signorini, se il taglio della spesa dovesse “finanziare lo sgravio dell’Irpef, evitare l’aumento di entrate e dare anche copertura agli esborsi connessi con programmi esistenti non inclusi nella legislazione vigente”, non basterebbe.
In generale, ha detto Signorini, il Def fissa obiettivi che “non si possono non condividere“, ma “è importante che l’azione riformatrice sia nei fatti incisiva e coerente con queste premesse”. Il Documento “propone azioni congiunte e simultanee: la riduzione del debito pubblico, il rilancio della crescita e un ritorno alla normalità dei flussi di credito, l’adozione di riforme strutturali che aumentino la produttività”. Ma tra il dire e il fare c’è un abisso, sembra ricordare l’istituto guidato daIgnazio Visco. Abisso colmabile solo con interventi rapidi e decisi. Prendiamo i proventi che dovrebbero derivare dalle privatizzazioni: il target dello 0,7% del Pil indicato nel Def è “ambizioso”, secondo via Nazionale. Che ricorda: “Negli ultimi 10 anni gli importi da dismissioni mobiliari sono stati pari a 0,2 punti di Pil in media l’anno”. Raggiungere l’obiettivo, quindi, “richiede un rapido e preciso programma di dismissioni”. “Plausibili”, invece, le previsioni riguardo agli “effetti nettidegli interventi programmati per la riduzione del cuneo fiscale (aumento delle detrazioni Irpef e riduzione dell’Irap) e delle voci di copertura (la revisione della tassazione sulle rendite finanziarie e interventi sulla spesa pubblica)”, ha continuato Signorini.
“L’equilibrio finanziario pubblico non si deve perseguire, ovviamente, con strategie miopi”, ha detto poi il funzionario. “La possibilità di ridurre il peso del debito sul Pil non dipende solo da una gestione prudente delle finanze ma anche dalla capacità di crescita dell’economia”. E i due obiettivi “devono essere inscindibili”, anche perché “le procedure europee consentono alcuni margini di flessibilità che possono essere sfruttati in accordo con le autorità europee al patto di avere al tempo stesso una strategia di riforme credibili e una bussola certa per le decisioni di finanza pubblica”. In questa luce, “assicurare la sostenibilità del debito pubblico resta necessario”, ha proseguito. La crescita, invece, sarà indispensabile anche “per il progressivo riassorbimento della disoccupazione, specie della componente giovanile più colpita dalla crisi”. Il ruolo delle politiche economiche, in questa fase, deve essere quindi quello di “sostenere la fiducia di imprese e famiglie, proseguire nella realizzazione delle riforme” e consolidare “l’allentamento delle tensioni sul mercato del debito sovrano che riflette certo il miglioramento del clima di mercato relativo all’euro, della finanza pubblica e delle prospettive di crescita, ma anche sviluppi contingenti sui mercati globali”.