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martedì 6 settembre 2016

Dopo le favole del premier arriverà il fisco lupo cattivo

Altro che "meno tasse per tutti" come promette Renzi: le imposte peseranno fino al 44,3% dei redditi. L'unico ad averle abbassate rimane Berlusconi nel 2006

Renato Brunetta 
 
Alla fine l'ha detto: «Meno tasse per tutti». Matteo Renzi fa il Berluschino, ma non gli riesce tanto bene. Con questa legge di Stabilità, che stando alla narrazione del premier dovrebbe portare a una «riduzione delle tasse che non ha paragoni nella storia del Paese» finirà come con gli 80 euro dello scorso anno, anzi peggio.


La strategia di Matteo Renzi sul fisco è ormai svelata: fa finta di ridurre platealmente le tasse a qualche categoria elettoralmente sensibile, fa grancassa mediatica sul provvedimento ma poi silenziosamente, subdolamente, furtivamente trova le coperture alzando le tasse a tutte le altre categorie, percettori degli apparenti tagli compresi.

Così è andata l'anno scorso con gli 80 euro, per coprire i quali Renzi ha aumentato l'aliquota Tasi dello 0,8 per mille; ha eliminato il tetto ai Comuni per l'aliquota Tari (imposta sui rifiuti); ha aumentato la tassazione sul risparmio dal 20% al 26% (inclusi conti correnti e depositi postali); ha ampliato le categorie di imprese soggette all'Irap; ha ridotto le detrazioni Irpef sopra i 55mila euro annui; ha aumentato la tassazione dei Fondi pensione dall'11% al 20%, del Fondo Tfr dall'11% al 17% e delle casse previdenziali dei professionisti dal 20% al 26% e ha riempito i provvedimenti economici di clausole di salvaguardia, che significano aumento dell'Iva e aumento delle accise su alcool, tabacchi, benzina e prodotti energetici. Con il risultato che tra il 2014 e il 2015 la pressione fiscale complessiva è aumentata di tre decimali, dal 43,4% al 43,7%. In altri termini: più tasse per tutti. E con l'aggravante che gli 80 euro non hanno avuto nessun impatto sulla crescita ma un grande dividendo politico: Renzi ha vinto le elezioni europee con il 40,8% dei voti. Costo dell'operazione: 10 miliardi.

Succederà la stessa cosa anche con la legge di Stabilità per il 2016. La pressione fiscale crescerà dal 43,7% del 2015 al 44,2% del 2016 e al 44,3% del 2017: il picco più alto della storia del nostro paese. Da quando Renzi è a palazzo Chigi al 2017 la pressione fiscale aumenta di quasi un punto di Pil. Altro che «abbassiamo le tasse».

Queste ultime calerebbero leggermente se il governo disinnescasse davvero le clausole di salvaguardia che prevedono l'aumento dell'Iva al 25,5% nel 2018 e delle accise. Ma nella legge di Stabilità queste clausole di salvaguardia non sono disinnescate bensì semplicemente rinviate.
Ne deriva che l'unico dato che fa fede non può non tenere conto delle partite di giro, anzi di raggiro, messe in atto da Renzi e che ha come risultato l'aumento della pressione fiscale. Questa è la realtà dei numeri. E quando afferma il contrario il presidente del Consiglio mente sapendo di mentire. Con il beneplacito dell'inerte, e perciò colpevole, ministro dell'Economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan.
Con Renzi, quindi, le tasse in Italia aumentano, tutto il resto sono chiacchiere mediatiche. E la gente lo vive tutti i giorni. Lo stesso modo con cui la legge di Stabilità è stata presentata all'opinione pubblica è un tranello. Il 15 ottobre, giorno della scadenza fissato dal «semestre europeo» per tutti i paesi dell'Eurozona, il Consiglio dei ministri ha approvato soltanto una «copertina», vale a dire un mero indice, e a Bruxelles è stato inviato uno stralcio, non si sa quanto veritiero, di un provvedimento che neanche c'era. Di fatto, Renzi ha avuto un mese di tempo, dalla Nota di aggiornamento al Def del 18 settembre in poi, per raccontare la sua storia, senza mettere nessun altro in condizione di leggere le carte e controbattere. Il fatto che nessuno ancora conosca il testo della legge di Stabilità la dice lunga sull'imbroglio.

Renzi prende poche iniziative simboliche, dall'abolizione dell'Imu-Tasi sulla prima casa alla riduzione dell'Ires, dai super-ammortamenti al canone in bolletta e su queste imposta il suo storytelling , anzi storyballing . Non dice degli effetti collaterali dei suoi provvedimenti. Alla gente rimane solo l' imprinting . L'amaro risveglio sarà l'anno prossimo, quando si vedranno gli effetti delle partite di giro, anzi di raggiro, del premier: pressione fiscale alle stelle e non crescita del paese.
Non solo: per potersi auto-attribuire la qualifica di tagliatore delle tasse, Renzi demonizza il passato, tacciando i suoi predecessori di averle aumentate. Anche in questo caso sono i dati a smascherare l'imbroglio del premier.

E i numeri dimostrano che durante il secondo e terzo governo Berlusconi (2001-2006) la pressione fiscale ha toccato il suo picco più basso, pari al 39,1% nel 2005, mentre è aumentata di oltre un punto di Pil (+1,3%) tra il 2006 (40,2%) e il 2007 (41,5%): governo Prodi.
Nel quinquennio 2001-2006 la pressione fiscale in Italia ha avuto un andamento decrescente, con la piccola eccezione del 2003. Allo stesso modo, con l'eccezione del 2009 (quando la crisi finanziaria è arrivata in Europa), l'andamento della pressione fiscale nel periodo 2008-2011 (quarto governo Berlusconi) è stato discendente, dopo il vorticoso aumento del periodo 2006-2008 (il solito governo Prodi).

La pressione fiscale in Italia assume un andamento assolutamente fuori controllo con il governo Monti: +1,9% in un solo anno (43,5%) per poi stabilizzarsi con il governo Letta sul 43,4%, ma aumentare ancora fino al 43,7% nel 2015 e addirittura al 44,3% nel 2017.

Tra il picco più basso di pressione fiscale del governo Berlusconi (39,1%) e il picco più alto con il governo Renzi (44,3%) c'è una differenza di quasi 5 punti. Scusate se è poco. Andando nel merito dei provvedimenti i governi Berlusconi hanno davvero ridotto la pressione fiscale in Italia: nel 2001 raddoppiando le detrazioni fiscali per familiari a carico (e triplicandole per i figli disabili) e abolendo la tassa di successione e la tassa di donazione; nel 2003 con l'introduzione della no tax area per i redditi fino a 6.500 euro e la riduzione dell'Irpef per i redditi fino a 25.000 euro; nel 2004 con la riduzione dell'Irpef (attuale Ires) dal 36% al 33%; nel 2005 aumentando la no tax area a 7.500 euro e riducendo l'Irpef per i redditi fino a 48.000 euro; nel 2008 con l'abolizione dell'Ici sulla prima casa.
È proprio vero, caro Renzi: le chiacchiere stanno a zero. Ma qui il chiacchierone, e imbroglione, sei tu, non gli altri. Tornando alla legge di Stabilità, abbiamo un consiglio non richiesto da porgere con umiltà e determinazione al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Smetta un attimo di lavorare sui fogli. Alzi lo sguardo. Esamini la sequenza dei fatti che si sono susseguiti dal momento solenne e caleidoscopico dell'annuncio della legge di Stabilità all'effettivo deposito del testo nelle sedi istituzionali da parte del presidente del Consiglio. E prenda atto e denunci lo scempio della democrazia e della buona fede che Matteo Renzi ha scientemente praticato.

Non è una dilazione solo tecnica quella che si è concessa il premier. Ma un artificio propagandistico concepito a freddo, finalizzato a far passare la legge di Stabilità, nella testa dell'opinione pubblica, come qualcosa che ha valore e significato a prescindere dagli atti formali. A prescindere dai numeri. A prescindere dalla realtà. Un imbroglio, una presa in giro della democrazia, che non possiamo più sopportare.

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