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giovedì 27 aprile 2017

Pansa: «La Boldrini dovrebbe andare al doposcuola. Non conosce la storia»






«La Boldrini? Dovrebbe andare a ripetizione di storia». Non fa sconti, Giampaolo Pansa, alla terza carica dello Stato dopo Bella ciao cantata nell’Aula della Camera e dopo gli interventi sul  25 aprile che hanno riproposto i temi della vecchia vulgata resistenziale della Prima repubblica. In questi giorni di retorica d’annata, l’autore de Il sangue dei vinti è intervenuto su Libero (23 aprile) per ricordare alcune verità scomode sulla Resistenza.

Allora Pansa, non ritieni che il clima di questo settantesimo anniversario del 25 aprile sia caratterizzato da un sorta di passo indietro rispetto alle aperture e alle ammissioni di qualche anno fa? Penso a Mattarella, che non vuol sentir parlare di “ragioni” dei “ragazzi di Salò”, a differenza di quanto a suo tempo affermò Luciano Violante e di quanto, più recentemente, ha ammesso Napolitano. Penso soprattutto alla Boldrini, che giorni fa, in televisione, è arrivata a negare l’esistenza di una guerra civile. Per la presidente della Camera bisognerebbe solo parlare di «lotta di liberazione». Un vero e proprio ritorno al passato. Non ti pare? 

Non voglio polemizzate con Mattarella: è una persona che stimo. È il Capo dello Stato e mi rappresenta. Della Boldrini penso invece che dovrebbe essere mandata al doposcuola, perché dimostra di non conoscere la storia italiana. Non può parlare in quel modo. L’estrema semplificazione della sua non conoscenza c’è stata quando ha fatto intonare Bella ciao alla Camera:  non è mai stata una canzone partigiana. I partigiani cantavano Fischia il vento. Ha fatto uno spettacolo da teatrino dell’oratorio rosso.

Che differenza noti tra il tempo in cui uscì Il sangue dei vinti e oggi?
Il sangue dei vinti uscì nel 2003 ed ebbe subito un successo pazzesco. Dopo pochi mesi aveva già venduto duecentomila copie. E l’interesse è continuato  negli anni successivi, fino alla vendita di un milione di volumi.  Fui bersagliato in tutti i modi. Me ne dissero di tutti i colori. E si trattava spesso di accuse ridicole e grottesche. Ci fu anche chi, ad esempio,  disse che volevo fare un regalo a Berlusconi per farmi nominare direttore del Corriere della Sera. Non c’è dubbio che era un’Italia faziosa.  Oggi abbiamo una faziosità nascosta, che non si esprime. Siamo alle prese con una crisi economica che, nonostante quello che dice Renzi, non è affatto risolta. E poi c’è l’enorme dramma delle migrazioni e degli sbarchi. L’Italia è come un malato che non si è ancora alzato dal letto per la paura di muoversi. Rispetto ad allora, l’Italia è più addormentata. Ed è su questa Italia che si è abbattuto lo tsunami di retorica per il settantesimo anniversario del 25 aprile.
Non ritieni che, in questa Italia addormentata, il conformismo attecchisca più facilmente?
Ti rispondo con un esempio tratto dai miei ricordi d’infanzia. A quel tempo, avrò avuto otto o nove anni, i miei genitori mi facevano preparare il “prete”. Sai che cos’è?

Ahimé sì, non sono più tanto giovane: il “prete” serviva a scaldare il letto prima di andare a dormire.
Esatto. Era un vaso di coccio con dentro la brace. Bisognava stare attenti a non mettercene troppa, altrimenti si rischiava di bruciare le lenzuola. Occorreva quindi ricoprire la brace con uno strato di cenere. Ecco, diciamo che l’Italia di oggi è come quel vaso di coccio. Sotto lo strato, non direi neanche del conformismo e della pigrizia ma di una sorta di assenteismo, cova la brace.

Chiarissimo. Per tornare a quello che successe in Italia tra il 1943 e il 1945, nell’articolo su Libero scrivi che in realtà l’Italia non fu liberata dai partigiani, ma dalle truppe alleate. Le vestali dell’ortodossia resistenziale hanno sempre detto che le formazioni partigiane costrinsero comunque i tedeschi a impiegare truppe per combatterle e quindi a sottrarre reparti dal fronte bellico. 
Tale circostanza dimostrerebbe il contributo militare dei partigiani, seppure indiretto. Che ne pensi? 
Si tratta di un argomento privo di senso. Che i partigiani abbiano dato fastidio ai tedeschi mi sembra il minimo. Però dobbiamo ricordare che il movimento resistenziale si sviluppa e prende consistenza tra il ’44 e il ’45, quando la guerra è già persa per i tedeschi. I soldati della Wehrmacht, in quella fase finale, erano scoraggiati e non avevano più voglia di combattere: se ad esempio tornavano a casa per una licenza, trovavano solo rovine e città sotto i bombardamenti. Un simile argomento può servire solo all’Anpi. E poi va considerato che, se non ci fosse stato il movimento partigiano, non ci sarebbero stati gli eccidi per rappresaglia. Emblematico il caso dell’attentato di via Rasella, cui seguì la strage delle Fosse Ardeatine. Non c’era alcuna necessità di compiere quell’attentato, visto che gli americani erano a due passi da Roma. L’azione di via Rasella fu dettata solo da motivi politici: i comunisti romani intesero dare un segnale forte perché erano accusati di attendismo.

In conclusione, Pansa, che cosa fu la Resistenza?
Non fu un movimento popolare. Fu un fenomeno ristretto a una minoranza che decise di prendere le armi. L’intera guerra civile fu una guerra combattuta tra due minoranze.

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