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venerdì 2 maggio 2014

80 EURO? NON CI SONO! ANCHE I TECNICI DEL SENATO SPUTTANANO RENZI E PADOAN. MA QUALI AUMENTI!

80 euro Renzi, i tecnici del senato bocciano le coperture del premier

Nonostante il premier Matteo Renzi si mostri sicuro al 100 per cento delle coperture del decreto che porterà 80 euro al mese in tasca a milioni di italiani, il Servizio Bilancio del Senato di fatto boccia il meccanismo messo a punto dal ministro Padoan. La stroncatura arriva peraltro sulla parte più delicata del provvedimento, e cioè quella che riguarda le nuove tasse.
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Per i tecnici di Palazzo Madama infatti le cifre del gettito che dovrebbe arrivare dall’aumento delle aliquote sulle rendite finanziarie potrebbe essere più basso. Così come non è garantito l’automatismo che porterebbe più soldi dall’Iva a seguito dello sblocco dei pagamenti dei debiti della Pubblica amministrazione. Infine, c’è il rischio concreto che le minori entrate legate al taglio dell’Irap potrebbero essere maggiori del previsto. Per non parlare poi dei rischi di incostituzionalità che ci sarebbero sull’aumento d’imposte sulla rivalutazione delle banche delle quote di Bankitalia. Insomma, quanto basta, se non per “smontare”, sicuramente per mettere fortemente in discussione il decreto sui cui Renzi si gioca la sua credibilità. Ma vediamo nel dettaglio le critiche.
Tasse sulle rendite finanziarie
Al Senato mettono in guardia Renzi e Padoan: aumentando dal 20 al 26% l’aliquota, si devono mettere nel conto quegli italiani che preferiranno investire i loro capitali su titoli esteri oppure su investimenti alternativi. È quello che tecnicamente si chiama effetto di sostituzione. Si legge nell’analisi dei tecnici:
L’aumento della tassazione sulle rendite finanziarie prevista nel Dl Irpef potrebbe comportare “possibili effetti di sostituzione che la relazione tecnica non sembra aver preso in considerazione e che dovrebbero comportare una revisione al ribasso nella stima delle maggiori entrate”. Infatti, “non sembra siano stati stimati possibili effetti sostitutivi che la nuova disciplina potrebbe determinare nelle scelte di investimento, ad esempio tra attività finanziarie nazionali ed estere, così come anche tra le prime e le attività reali (ad esempio immobili esteri o beni rifugio) a cui conseguirebbe un minor gettito”. Nel documento si ricorda che “la normativa in esame lascia inalterata la vigente aliquota agevolata del 12,5% sui redditi di alcune tipologie di titoli tra cui quelli di stato, quelli emessi da stati esteri white list e loro enti locali e quelli di risparmio per l’economia meridionale, nonché l’aliquota dell’11% sul risultato netto maturato della gestione dei fondi pensione”. Per i tecnici, “pur comprendendo le ragioni di tale distinguo è evidente che per la determinazione nella composizione del portafoglio degli investitori non sarà indifferente il trattamento fiscale e che anzi, qualora gli investitori dovessero optare, in sostituzione di parte degli investimenti effettuati, ad esempio, verso forme di previdenza complementare, questa opzione consentirà loro di usufruire anche di deduzioni dal reddito imponibile, con ulteriori specifici effetti di minor gettito a titolo di imposte dirette che la relazione tecnica non sembra aver preso in considerazione”.
In altre parole, gli italiani potrebbero preferire spostare i propri risparmi sui bot o sui fondi pensione, più convenienti. E così mettere a rischio i 700 milioni per quest’anno e i 3 miliardi a regime previsti dal governo per compensare il taglio Irap.
Taglio Irap
Ma anche lo stesso taglio dell’Irap darebbe problemi. Nel senso che alla fine il calo delle entrate potrebbe essere maggiore del previsto:
“La quantificazione di minor gettito contenuta nella relazione tecnica, – si legge nel dossier – pari a 2.059 milioni in ragione d’anno, corrisponde all’8,3% rispetto alle entrate del 2014 indicato dal predetto Bollettino delle entrate (24.813 mln); tale percentuale è sensibilmente inferiore a quanto previsto dalla normativa, dato che le variazioni in riduzione vanno dal 9,52 al 10,53 per cento, a seconda del settore di attività. Per questo motivo, si ritiene che gli effetti di minor gettito derivanti dalle disposizioni in esame possano verosimilmente attestarsi su importi più significativi di quelli esposti in relazione tecnica”. Inoltre, “l’aver assunto un andamento di minor gettito come costante nel tempo non appare prudenziale, considerando i dati in crescita del gettito Irap riportati nel Bollettino delle entrate tributarie negli anni 2011-2013 (23.962 mln nel 2011, 24.422 mln nel 2012 e 24.813 mln per il 2013); la considerazione di tale crescita comporterebbe anche un incremento, nel corso degli anni, del minor gettito associabile alla riduzione delle aliquote”. I tecnici del Servizio Bilancio chiedono quindi chiarimenti al governo anche alla luce del fatto che la relazione tecnica non tiene in considerazione gli effetti finanziari a carico delle Regioni.
Traducendo dal gergo economico, significa che il governo avrebbe considerato nella relazione tecnica un taglio dell’Irap dell’8,3 per cento mentre nella normativa del decreto si parla del 10 per cento in media. Insomma un vero e proprio errore. Colposo o doloso?
Maggiore Iva dai pagamenti Pa
Poi non è detto che ci sia un automatismo tra l’Iva assolta dalle amministrazioni pubbliche con il pagamento dei debiti pregressi e il maggior gettito per il fisco. Nel decreto Renzi ha infatti previsto che lo sblocco porterebbe 600 milioni quest’anno e un miliardo a regime. Troppi e non sicuri, secondo i mandarini del Senato:
Nel documento si osserva che c’è “la possibilità (più che verosimile) che una parte dei pagamenti ricevuti dai creditori delle amministrazioni pubbliche sia dagli stessi utilizzata per regolare a loro volta posizioni debitorie nei confronti dei propri fornitori. In tal modo, correndosi il rischio in sede erariale di una stima ‘eccessiva’ del maggior gettito erariale atteso, sottovalutandosi, soprattutto, gli effetti di compensazione ‘impliciti’ nella procedura di liquidazione periodica dell’iva che, operando ‘per massa’, può ridurre (fino ad azzerarla del tutto) l’iva a debito che il contribuente è tenuto a versare effettivamente all’erario”.
Quote Bankitalia
L’aumento della tassazione sulla rivalutazione delle quote detenute dalle banche nel capitale della Banca d’Italia potrebbe presentare profili di incompatibilità con il dettato costituzionale. Quindi significa che c’è il rischio concreto che le banche possano intraprendere iniziative legali contro il governo e quindi far venir meno i due miliardi e rotti di una tantum, che sono la parte più cospicua delle coperture degli 80 euro:
“Il provvedimento in esame riscrive ora integralmente il comma 148 che riguardava i profili fiscali della rivalutazione delle quote della Banca d’Italia – si legge nel dossier – senza chiarire la portata e la ratio della novella. In proposito, considerati anche il venir meno della possibilità di rateazione triennale del pagamento dell’imposta, l’innalzamento significativo dell’aliquota del tributo e il carattere obbligatorio della rivalutazione, andrebbe valutato con attenzione se quanto sopra rappresentato possa determinare una lesione del principio dell’affidamento legittimo del contribuente alla certezza dell’ordinamento giuridico”. Per i tecnici del Senato, “repentini mutamenti del quadro normativo potrebbero in altri termini finire per definire la tassazione postuma di una ricchezza non più attuale ovvero non garantire quell’esigenza di anticipata conoscenza da parte del contribuente del carico fiscale posto sulle proprie attività economiche, con conseguente possibile violazione di precetti costituzionali (artt. 41, 53, 97 della Cost). Andrebbero pertanto valutati con attenzione i profili di compatibilità della norma in esame con il predetto dettato costituzionale, anche in considerazione delle ricadute sul gettito di eventuali contenziosi”.
Una raffica di rilievi e critiche che bocciano di fatto il provvedimento firmato Renzi-Padoan. Ora cosa succede? La relazione dei tecnici non ha valore vincolante, il governo può anche non rispondere e andare avanti per la sua strada. Certamente però garbo istituzionale vuole che il Tesoro ribatta nel dettaglio, come fatto dai precedenti governi. È anche una questione di credibilità. La palla quindi passa adesso a Padoan. Che farà via Venti Settembre?
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